mercoledì 7 gennaio 2015

Scalare una montagna non significa solo ritornare alla natura,significa sopratutto conquistare se stessi,scoprire il senso dei propri limiti e provare l'ebrezza della libertà.



Becks Club - Ferrata Rino Pisetta


" Non esistono proprie montagne,si sa, esistono però proprie eseperienze.Sulle montagne possono salirci molti altri, ma nessuno potrà mai invadere le esperienze che sono e rimangono nostre."
 La citazione di Walter Bonatti, una vera leggenda dell'alpinismo, ci conduce subito al centro del nostro discorso.Vivere la montagna significa essere consapevoli della totalità che essa chiede a chi la frequenta.
E' pur vero che la montagna può essere meta semplicemente di escursioni non impegnative, destinate ad essere semplice parentesi per staccare dalla quotidianità; in un buon numero di casi, però, vivere la montagna ha un significato molto più profondo.

Riconnetersi alla natura.

Cir V



Nel suo libro 'L'ultimo bambino dei boschi' Richard Louv sottolinea la neccessità dei bambini di vivere il contatto con la natura.Sembra che molte patologie infantili dipendano proprio da un " deficit di natura ".
Vivere la montagna garantisce di poter fare il pieno di quella energia che parte dalla terra e si connette con l'atmosfera attraverso alberi e piante.
Chi vive la montagna in maniera piena e consapevole fa esperienza di natura diventando in qualche misura appartenente alla stessa. E' un occasione per riprendere in mano ritmi che la vita frenetica del quotidiano non consente di tenere più, una sorta di riappropriazione di cicli ancestrali che rappacificano con la parte più nascosta e intima di se stessi.
E' fondamentale, infatti, pensare di poter abbandonare la maschera fornita dagli abiti dei giorni lavorativi e, allo stesso tempo, lasciarsi andare alla comodità, a partire dai piedi, confortevolmente infilati dentro morbidi scarponi. Ogni alpinista che si rispetti ama i propri scarponi.Pensare ai piedi come al sostegno fondante della persona è una cosa che va ben al di là della mera fisiologia.
Imparare - e sarebbe fantastico poterlo nuovamente insegnare ai bambini - a camminare con occhi intenti ad osservare un prato, le varietà dei fiori, annusare odori che in città sono assolutamente alieni come la corteccia da cui sgorga un pò di resina o un ciclamino in piena fioritura.




Per non parlare del tatto: riconoscere la rugosità della corteccia di abete rosso enormemente diversa da quella di un pino nero o di un faggio; ascoltare innumerevoli suoni tutti a decibel infinitamente bassi. Riconoscere un canto di uccello dal frinire della cicala o dal canto del grillo. Piccole grandi sensazioni che si collegano alle emozioni e spesso, sopratutto grazie agli odori, attivano analogie che consentono a chi ne fa esperienza di andare indietro nel tempo. E poi guardare le montagne, semplicemente stare ad ammirare lo skyline che si staglia nel azzurro intenso del cielo. Irreprensibile bellezza.

Guardare dentro se stessi.

Picco di Vallandro - Pratopiazza

Per analogia si può scivolare verso quel momento in cui l'odore del timo ricorda le patate al forno della mamma. Ma non basta, si può andare indietro nel tempo e recuperare ricordi sollecitati da odori e sapori; tuttavia è più frequente vivere il silenzio che la montagna offre come momento di introspezione profonda.     E' vero che, talvolta,il silenzio può fare paura, perchè non siamo più abituati e il quotidiano è fatto prevalentemente di schermi, voci, luci, incursioni dentro la nostra testa. Si fa fatica ad essere soli nella quotidianità. E la solitudine può inquietare, proprio perchè fatta di silenzio.
Chi frequenta la montagna va in cerca di quel silenzio, un silenzio punteggiato di suoni naturali che hanno lo scopo quasi terapeutico  di consentire il lasciarsi andare a guardare dentro se stessi. Entrare nel bosco,ad esempio, può aiutare in questo senso. Il bosco con la sua ombra, gli alberi che fanno da cornice, gli odori    di antico, riporta facilmente a guardarsi dentro in maniera molto intima.  Entrare nel bosco è un pò addentrarsi nella propria storia, rievocare le creature che hanno abitato l'infanzia e forse non se ne sono andate del tutto.

Bosco. Vincent Van Gogh.



Concedersi di abbracciare il pensiero magico anche se l'età è più che superata, riandare al proprio io bambino e scoprire proprio dentro al folto delle piante la protezione che in altri ambienti non si riesce a trovare. La luce che traspare dalle fronde è un pò la metafora delle " illuminazioni " vissute, per piccole che siano state, nel nostro andare nella vita. Il bosco nasconde anche creature sconosciute, vi si possono celare alcuni fantasmi che albergano dentro il profondo: la paura di smarrire il sentiero, il senso dell'ignoto che lo attraversa, la paura dell'incontro con il lupo, con l'orso. Paure schiocche perchè sappiamo che quegli animali appena avvertono l'odore dell'essere umano scappano, eppure dentro di noi difficilmente li lasciamo fuggire.
E' dentro al bosco che si assapora il senso del mistero ed è uscendo dal bosco che si sperimenta la gratitudine per la luce ritrovata. E' dentro al bosco che si può sperimentare l'estrema solitudine, la "desiderata solitudine, la più profonda che potesse immaginare, una solitudine che gli toccava il cuore con le sensazioni di un enorme e critica lontananza dagli uomini" (Mann, La montagna incantata ). Lontananza dagli uomini per concedersi di stare con se stessi.

Scoprire il senso del limite.

Monte Baldo - Ferrata delle Taccole

Andare verso la vetta è certamente l'opposto del camminare nel bosco.La vetta è un obiettivo da raggiungere, è il fare i conti con la totalità della propria storia, con le proprie forze, con il coraggio e la determinazione.
Arrampicare è un esperienza molto difficile da spiegare per chi non l'ha provata. Arrampicare è fondersi con la roccia, diventare partner perfetto che respira con la pietra, diventare vento, pioggia, lichene, uccello. E poi ridiventare donna(uomo) e fare i conti con tutto quello che si sta vivendo richiede.
Salire una montagna è sempre vivere la metafora dell'esistenza umana: un libro eccezionale in questo senso è senza dubbio ' Il Monte Analogo ' di René Daumal ,  perfetta "metafisica dell'alpinismo ", il racconto di una scalata a una montagna simbolica, che ha il solo scopo di mettere in relazione la realtà con il proprio paesaggio interiore. (.....)  La scalata del Monte Analogo è  metafora di ogni scalata, mette in connessione  il mondo "reale", la pesantezza del quotidiano, il limite di un corpo che salendo pesa ( anche per chi è magro e ossuto),  il respiro che può mancare a tratti,  la capacità tecnica,  con il mondo irreale  fatto di mondo del "possibile", dove poter abbattere i nostri schemi difensivi e lasciarsi andare a contemplare con occhi diversi   il nostro "dentro".
Affrontare un' arrampicata è sempre affrontare tratti significativi di noi stessi: la capacità di riconoscere un nostro limite, cosa non scontata.
Sapere che possiamo farcela perchè abbiamo le possibilità fisiche, psicologiche, tecniche, ma anche sapere quando è necessario fare marcia indietro, rinunciare. Gestire la rinuncia insegna più del saper raggiungere la vetta. L'introspezione che deriva dall'esperienza alpinistica è notevole: ti fà dire sì o no in maniera totale, senza ripensamenti, senza mezze scelte o mezze parole.
C'è un momento in cui non ci si può permettere di sbagliare e affrontare la prova denota pertanto una dose significativa di coraggio, di capacità di mettersi alla prova, di rischiare. Lasciando ai grandi alpinisti le esperienze  estreme, dove  il rischio è companatico di ogni impresa, anche  nelle  salite più semplici   la componente pericolo va contemplata. La montagna insegna - a meno di scellerati in cerca di facili emozioni - a ponderare bene le proprie forze, a pesare muscoli e nervi, a saper stare dentro cornici. Certamente il rischio attira, già Platone nel suo 'Fedone' scriveva "Bello è il rischio", c'e qualcosa che attrae: forse la sfida atavica contro la morte, nell'illusione di poterla vincere?  O forse un atto di fede,  fiducia in se stessi  di potercela fare e fiducia nella montagna che non ci lasci cadere.

Walter Bonatti. K2.

Conquistare o essere conquistati?

L'avventura con la montagna, dentro la montagna, assieme alla montagna è tutto meno che conquista. Nella maggior parte dei casi invece si vede la montagna come un osso duro da sconfiggere, un territorio da conquistare, una rocca da espugnare. Forse è un pensiero più caratteristico dell'animo maschile, (....)
Il raggiungimento della vetta è sempre stato il raggiungimento di un obiettivo che mi ha fatto misurare con me stessa. I tempi di salita non sono mai stati un problema, ho sempre guardato in maniera prevalente il percorso fatto come esperienza da centellinare, da vivere in ogni preciso istante. La vetta raggiunta è sempre una fatica e un andare in punta di piedi, quasi chiedendo scusa per aver violato una parete verticale.(....)
Nives Meroi  scrive: "Nemmeno in cima alle motagne più alte della terra mi è passato per la testa di alzare le braccia in segno di trionfo; semmai, accovacciata a terra, mi è sempre venuto spontaneo un grazie."
E' quel grazie che anch'io sento sgorgare dal profondo quando, raggiunta una cima,  posso volgere lo sguardo al panorama che si apre sotto di me.
Allora è lì che vivo la dimensione della piccolezza dell'essere umano incastonata perfettamente nella grandezza della natura.

Becks Club

Nudi senza zaino.
La metafora dello zaino, per chi frequenta la montagna, è abbastanza familiare. Lo zaino che ci si porta sulle spalle contiene le certezze della nostra esistenza: il cibo, 'acqua, i moschettoni e le corde, il siero antivipera e il telino termico, il casco per proteggerci dai sassi in caduta libera etc. Tutte attrezzature per la nostra sicurezza ma sopratutto per la nostra rassicurazione. Quando togliamo lo zaino la schiena si libera da un peso, ci scrolliamo di dosso paure e lacci, rimaniamo liberi da condizionamenti, virtualmente siamo nudi.      Si toglie lo zaino quando si arriva, quando la cima è raggiunta e per un momento anche brevissimo, si vuol provare l'ebrezza della libertà. Una libertà data dal colore del cielo, dal vento che scompiglia i pensieri, dalla bellezza.
E' quel attimo che ogni alpinista si porta a valle, quando rientra, ed quello che alimenta il fuoco del desiderio di tornare, il prima possibile, a ripetere le esperienze che sono sempre uniche come unica è la persona che le vive.

Da Psicologia Contemporanea. articolo della dott.ssa Paola Cosolo Marangon.


Becks Club 


Articolo bello e interessante, in ogni caso credo che  chiunque conquisti un traguardo nella vita o una vetta in montagna possa sentirsi libero di gioire e di manifestarlo come ritiene più oppurtuno, anche alzando le braccia verso il cielo. :-)
Coraz.


Picco di Vallandro - Pratopiazza

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